Per Ettore Scola
Il 10 gennaio 2015 se ne andava Francesco Rosi, un pezzo importante del cinema e della sua storia, non solo italiana. Ettore Scola, lui pure un pilastro molto rilevante di quella stessa storia, lo ha raggiunto il 19 gennaio. 2016, un anno dopo. Li aspettava Fellini, per festeggiare il 20 gennaio, insieme a loro, il suo compleanno. Erano tutti grandi amici. Con la loro scomparsa il nostro cinema – che grazie a Rosi, a Scola, a Fellini e a pochissimi altri si è imposto a livello internazionale – è diventato ancora più povero. Sembra banale dirlo, ma è profondamente vero. Guardatevi intorno…
I tanti spettatori, baresi e non, che in questi ultimi anni hanno avuto la possibilità di conoscere, di frequentare, di parlare con Scola nelle sue vesti di presidente del Bif&st hanno avuto certamente modo di apprezzare la sua semplicità, la sua naturale eleganza, la sua totale disponibilità. E la sua intelligenza. Mancherà a loro come manca, e tantissimo, a noi che non possiamo più fare affidamento sul nostro capitano. Ma Ettore, che non intendeva fare il presidente del Bif&st in eterno, aveva indicato un nome come suo possibile successore: quello di Margarethe von Trotta che, dopo qualche resistenza dovuta alla soggezione di sostituire Scola, suo amico da oltre trent’anni, ha infine accettato. E gliene siamo molto grati.
Pochi sanno che l’Ettore Scola privato era uomo dalle amicizie salde e lunghe nel tempo, alla cui tenuta contribuiva con sobrie telefonate, sporadici incontri conviviali e discretissime incursioni nelle “vite degli altri”, soprattutto nei momenti del bisogno, quello degli altri. Mai del proprio. Talora sornione e solo in apparenza cinico Ettore possedeva un’inclinazione naturale all’ironia e all’autoironia che lo rendeva immune dai sentimentalismi e dalle chiacchiere vuote o ipocrite. Chi a Bari ha partecipato alle sue tante lezioni di cinema sa di che parlo. Animato da una forte passione civile e capace di profondi e autentici slanci di accesa indignazione politica e culturale Scola si ritrovava permanentemente in prima linea nelle battaglie politiche e culturali in difesa di valori essenziali quali la libertà di pensiero, la solidarietà, la democrazia, l’antifascismo, l’antirazzismo, il rispetto della storia, il diritto al dissenso, l’egualitarismo, la partecipazione. E i giovani. Valori che, in linea con una coerenza mai venutagli meno, sono a fondamento dei suoi film dei quali sono i principali ingredienti.
Ma c’era qualcosa che covava sotto la sua franca risata. Avevo notato che da qualche tempo sulla sua vena d’innata ironia e di sottile disincanto si stava incuneando una sotterranea screziatura composta da un tanto di melanconia e da un tanto di disillusione. Scola, come altri intellettuali della sua generazione, ha sempre creduto, operato e lottato per “un mondo nuovo” da costruire con impegno, passione, sacrificio, militanza, entusiasmo, abnegazione, cultura. Ma le cose sono andate e stanno andando, secondo Scola, ben diversamente. Stanno vincendo, diceva, i particolarismi, gli egoismi, l’insensibilità, i fanatismi, il razzismo e una nuova, moderna ma non meno pericolosa, forma di fascismo insieme ad una incultura sempre più diffusa e ad una carenza della memoria storica di portata impressionante quanto devastante. Proprio quello che i suoi film, le sue storie, i suoi attori hanno sistematicamente denunciato – con uno sberleffo, un sorriso, una battuta o con un ironico e sobrio j’accuse – come possibile e dunque temibile risultato e temperatura e condizione del tempo dell’indifferenza in cui viviamo. Un tempo che forse Ettore, col suo termometro culturale, sentiva sempre più estraneo.
Così negli ultimi anni, a parte una superba regia lirica della Bohème e il suo attivissimo impegno annuale per il Bif&st del quale nel 2010 aveva accettato d’essere il presidente, s’era rifugiato nei classici della letteratura e del pensiero greco e latino e in poche, intime frequentazioni con amici fidati e di antica data. Ma senza mai perdere il contatto con la realtà e con la politica nel senso più alto di questa parola e senza mai rinunciare ad occuparsi e preoccuparsi della sua stupenda famiglia della quale era, e si sentiva, il patriarca, legatissimo ai suoi cinque nipoti per i quali, sommessamente, stravedeva. Ma senza darlo a vedere. Un altro suo paradosso.
Con lui abbiamo perso un amico, un compagno, un complice e le nostre telefonate pressoché quotidiane, ma perdiamo anche il presidente artistico del Bif&st, straordinario valore aggiunto per il festival, per Bari, per la Puglia. Ma ne rimane il presidente onorario. E l’onore è tutto nostro, caro capitano.
Felice Laudadio